Prefazione critica
Articolo sui miei lavori, lo stile e i personaggi
Prefazione
Nel cuore di una scrittura ancora inedita, ho incontrato una voce raffinata che si distingue, intensa e precisa, come quelle delle grandi eredi del modernismo femminile del Novecento: Anaïs Nin, Djuna Barnes, Clarice Lispector. Ma in realtà, per la sua concezione avanzata e consapevole della narrazione, questa voce si colloca senza esitazione nel Postmodernismo.
Perché avanzata? Perché, accanto alle trame a doppia spirale — non nuove alla narrativa — e al flusso di coscienza, qui assistiamo a un vero capovolgimento: non è la narrazione a condurre il testo, ma il testo a costruire la vicenda. Il racconto non accompagna i personaggi: li disegna, li domina, li smaschera.
Le eroine, donne umiliate, soggiogate, marchiate come schiave, si muovono in storie dove sembrano vittime, e lo sono. Ma accettano gioiosamente questo ruolo, perché sono loro le vere padrone del racconto. Signore gelide e lucide che, proprio mentre precipitano nella mortificazione, risalgono nella gerarchia narrativa come potenze critiche, che attraverso il potere della loro narrazione capovolgono silenziosamente il racconto, rendendo vittime e dipendenti da loro, antagoniste e antagonisti.
Possiamo parlare di un Gotico speculativo declinato in modo nuovo, dove il terrore dell’ignoto, del mostro, della maledizione o psicologico si trasforma in terrore di un vuoto esistenziale che frantuma l’idea stesa di coscienza. Si è parlato in alcuni casi di eroine Vampire a modello di moderne Carmilla, o di Zombie, per omaggiare la traduzione in personaggi narrativi delle teorie di Chandler sui problemi ardui della coscienza, cari all’autrice.
La caduta delle eroine è solo apparente: più sprofondano, più si raffina la loro analisi. E nella scrittura — che è il loro vero regno — finiscono per annientare chi pensava di dominarle. Il testo si rovescia, e con esso le dinamiche di potere.
Lo stile: frammentazione e visione
La scrittura, sempre ipnotica, è governata da una voce narrante non affidabile, quasi in trance. Una donna che non possiede davvero sé stessa, che attraversa desideri come visioni e si dissolve in essi esistendo e nutrendosi della coscienza frammentata di altri, fomentando in loro emozioni e sentimenti che lei stessa divora. La sintassi è libera, affilata, improvvisa. Paratassi come febbre. Le immagini — tattili, olfattive, barocche — costruiscono un paesaggio sensuale e interiore.
È modernismo, sì. Ma è un modernismo carnale, erotico, in cui il corpo si fa linguaggio. La parola ha la consistenza del sudore, del velluto, del sale.
Il corpo esposto: potere e vergogna
Il corpo non è mai solo. Sempre osservato, misurato, amato o disprezzato. Isabella, la irrequieta casalinga colta da terrore esistenziale di La sottomessa, la contesa decaduta Giulia in Claudia, Angela: ogni figura porta con sé uno sguardo e una severa autoanalisi che proietta sé stessa sulle altre e le cesella poco a poco, rendendole da macchiette a personaggi umani. Uno sguardo che pesa e definisce. L’imperfezione, invece di essere celata, viene esaltata come marchio distintivo, ma senza fuoriuscire dalla dinamica di dominio.
“Mi hai detto che sono quelle [le imperfezioni] che attraggono più in me.”
Così, anche quando lo stereotipo estetico viene sovvertito, resta intatto il meccanismo del potere.
Il letto condiviso: sacro, profano, mitologico
Nel cuore pulsante della narrazione di Giulia: un letto sontuoso, barocco, marino, condiviso da tre donne. Una visione fallica e divina, intrisa di profumi e conchiglie, dove il sacro e il profano si mescolano. Il letto non è solo scena erotica, ma archetipo: tempio, altare, trono.
È qui che l’identità si frantuma e si specchia.
Desiderio, colpa, doppio
La protagonista è sempre altrove. Mai tutta, mai stabile. Vittima e carnefice, schiava e regina, amante e penitente. Il ritorno di Giulia, in Giulia e Angela, che si è umiliata fino a diventare la mantenuta dell’amante del marito, Giovanna, e si lascia scambiare con le sue amiche per diventare un loro oggetto, è un ritorno al castigo, al codice morale, al gelo dopo l’incendio. Quello della stessa Giulia, in Giulia 2 parte, è il ristabilimento da lei progettato e voluto del patriarcato, rappresentato dallo stalliere del castello, Franco, perché si tratta solo e comunque di uno scambio di donne tra uomini, tra Franco e suo marito il conte. Il postmodernismo e il post-femminismo qui irrompono violenti, ma è solo un’illusione: Giulia tiene in pugno Franco, e con lui il ristabilito nuovo ordine patriarcale.